ASSICURAZIONI: CHI VUOL ESSERE GARANTITO PARLI ORA O TACCIA PER SEMPRE?
Le clausole claims made nel contratto di assicurazione: chi vuol esser manlevato parli ora o taccia per sempre?
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione dichiarano che l’assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis” costituisce modello tipizzato dal Legislatore e deroga consentita all’art. 1917, comma 1, c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore. Al contraente assicurato spettano, comunque, possibili rimedi da esperire per correggere eventuali squilibri negoziali, potendo invocare la responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose, la nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto e la conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro).
La vicenda decisa dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 24 Settembre 2018, n. 22437
Il crollo, avvenuto nell’anno 2002, di un magazzino, provocato dal distacco e la conseguente caduta di una gru per l’edilizia, stimolò l’inevitabile giudizio risarcitorio, in seno al quale fu, tra gli altri, convenuto il produttore della gru che, a propria volta, chiese l’intervento in giudizio, per la manleva, del proprio assicuratore.
L’assicuratore, precisato di aver stipulato con l’assicurato convenuto due distinti contratti di assicurazione (nel 2002 il primo e nel 2003 il secondo), chiese, in applicazione della cd. “clausola claims made” (di cui erano corredati entrambi i contratti), che fosse riconosciuto l’obbligo all’indennizzo nel rispetto di quanto previsto dalla seconda polizza; e tanto in ragione del fatto che la seconda polizza (a differenza della prima) prevedeva franchigie più alte del danno richiesto dagli attori, con la conseguenza che la domanda di manleva doveva essere respinta.
Secondo la prospettazione dell’impresa assicuratrice, in applicazione della clausola claims made, l’obbligo all’indennizzo sorgerebbe solo (e sarebbe regolato dalle disposizioni contrattuali vigenti in quel momento) in seguito alla formulazione della pretesa risarcitoria e non “semplicemente” nel momento storico in cui si verifica l’evento dannoso.
Il Tribunale accolse la domanda principale e, respingendo la tesi dell’Assicurazione, la richiesta di garanzia, dichiarando nulla la clausola claims made, ai sensi dell’art. 1341 c.c..
La Corte di Appello ribaltò, invece, la decisione e, assecondando le richieste dell’Assicurazione, affermò valida e non vessatoria la clausola “claims made“, in quanto meramente delimitativa dell’oggetto del contratto (e non inammissibilmente restrittiva della responsabilità dell’assicuratore).
Rimessa la questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la sentenza di secondo grado è stata cassata con rinvio perché – pur avendo correttamente escluso la natura vessatoria delle clausole claims made e postulato la validità delle polizze nell’ottica, errata, della atipicità del contratto – non ha esaminato l’operazione, in relazione al concreto assetto di interessi che le polizze stesse avrebbero dovuto realizzare. Secondo la Corte di Cassazione, ha sbagliato il Collegio veneto a non valutare, in modo sinergico, la vicenda dedotta in giudizio, gli obblighi informativi che essa imponeva, l’adeguata corrispettività tra premio e rischio assicurato e, infine, l’eventuale presenza della clausola di recesso in costanza di rapporto.
Conclusioni
Il quadro esegetico tratteggiato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 22437/18 sembra orientare definitivamente il dibattito sulle clausole claims verso un giudizio prevalentemente meritorio, sconfessando l’opinione di chi – come riassunto nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite – le ritiene “sempre e comunque” immeritevoli, nella parte in cui escludono l’intervento in garanzia dell’impresa assicuratrice qualora la richiesta di risarcimento del danno intervenga dopo la cessazione del contratto.
Certo, la Corte Suprema afferma che non sono esclusi possibili rimedi a fronte di uno squilibrio sinallagmatico, ma sul piano pratico, nel caso in cui la compagnia neghi la manleva in forza di una clausola claim, sembra diventare molto più complesso dimostrarne la nullità per difetto della causa in concreto.
Ci si può facilmente immaginare, infatti, che le compagnie di assicurazione adotteranno presto efficaci misure per documentare, in caso di giudizio, il puntuale assolvimento degli obblighi informativi, la congruità del premio convenuto in base agli obiettivi perseguiti dall’assicurato e l’abolizione della clausola di recesso in costanza di rapporto.
Altro tema sarà, però, capire sul piano della tutela effettiva degli assicurati quanto saranno, questi ultimi[1], resi effettivamente edotti dei rischi connessi al cambio di impresa assicuratrice e, soprattutto, al mancato rinnovo di una polizza o un rinnovo concluso a condizioni differenti.
Ad esempio, in relazione agli obblighi informativi, esaminando un “executive summary”[2] prodotto e divulgato, nel 2014, dall’Associazione Nazionale per le Imprese Assicuratrici[3] il chiaro favor espresso per le clausole claims, indicate come patti maggiormente tutelanti per l’assicurato e per l’assicurazione, indurrebbe probabilmente la stragrande maggioranza dei soggetti intenzionati ad assicurarsi ad abbracciare tale modello. E tanto partendo semplicemente da una sommaria disamina dell’immagine di copertina, dove sono tratteggiati “un assicurato claim” munito di ombrello capace di porlo al riparo da una pioggia battente e “un assicurato loss occurrence” inzuppato fradicio.
Di certo, permarrebbe qualche perplessità in ordine alla piena consapevolezza di quel consenso, i cui vizi – specie per le piccole e medie imprese – sono ormai stati quasi definitivamente condotti dalle Sezioni Unite fuori dall’alveo dell’invalidità e inquadrati in quello della mera risarcibilità.
Probabilmente, esponendo il caso risolto dalla Sentenza 9140/16, ove l’assicurato venne ritenuto non coperto a fronte di una domanda risarcitoria formulata dopo la scadenza del contratto di assicurazione per un evento occorso in pendenza del contratto, qualche dubbio in più sorgerebbe in ordine al fatto che le claims sono davvero sempre più convenienti per tutti.
Ancor più complesso, poi, sarà stabilire l’effettiva congruità del premio.
Il tutto senza dimenticare che orientarsi correttamente nel panorama del mondo assicurativo è tutt’altro che agevole per chiunque non sia un professionista dello specifico settore.
Evocativa al riguardo è l’espressione usata dalla Corte di Cassazione (22437/18) che, nell’illustrare i motivi della propria decisione, precisa che essa si basa sul linguaggio giuridico “a prescindere, quindi, dalla anfibologia del linguaggio della prassi assicurativa”.
Ora, se pure la Corte Suprema riconosce che le locuzioni presenti nelle polizze presentano almeno due significati diversi si possono immaginare le difficoltà interpretative a cui saranno esposti gli assicurati.
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[1] La questione non dovrebbe riguardare le polizze delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso i terzi e i prestatori d’opera e dei soggetti esercenti le libere professioni sanitarie, dato che le previsioni legislative contenenti espresse condizioni di ultrattività dovrebbero scongiurare i problemi di mancata copertura.
[2] Cfr. http://www.ania.it/export/sites/default/it/pubblicazioni/Dossier-e-position-paper/Polizze-claims-made.-Piu-van-taggiose-per-assicurati-e-assicuratori-Position-paper-31.10.2014.pdf
[3] A comento di una segnalazione al Governo e al Parlamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AS1137) recante alcune proposte di riforma che prevedesse espressamente l’obbligo di offrire polizze (differenziate nelle condizioni economiche) in regime c.d. loss occurrence in modo da garantire la libertà di scegliere il prodotto assicurativo ritenuto più adeguato in un contesto pienamente concorrenziale e privo di ostacoli alla mobilità.